Dall'aeroporto di Ezeiza di Buenos Aires presi un taxi. Era mattina presto forse per questo non faceva ancora molto caldo, però a Buenos Aires il mese di dicembre coincide con l'inizio dell'estate. Si sentiva nell'aria il calore dei paesi del sud. Mi ricordai la sensazione che avevo provato quando scesi dall'aereo in un'isola tropicale dopo aver lasciato il freddo inverno giapponese. L'autista mi disse che la temperatura poteva essere più alta a mezzogiorno. Il nostro appartamento si trovava al centro della città. Appena arrivati una nostra conoscente venne ad aiutarci a sistemare la casa e ci portò con la macchina a girare per Buenos Aires. Tutto sommato mi sembrava una città europea però bastava un attimo d'attenzione per coglierne la differenza.
La parte più enigmatica di questa città si estendeva al di là della stazione di Retiro. Non sarei mai riuscita a capire ciò che stava succedendo in quella zona però avrei potuto solo immaginare che lì stessero conducendo una vita impossibile da prevedere. I quartieri degli indigenti, "Villa Miseria", si vedevano benissimo dall'autostrada che passava accanto alla stazione. Dietro quelle baracche torreggiavano da lontano una serie di edifici di vetro cristalizzato che scintillavano sotto la luce del sole. Era un contrasto irrazionale. Le numerose persone vivevano giorno per giorno tollerando questa realtà. I bambini precipitavano al centro dall'altro lato di Retiro e guadagnavano qualche moneta facendo acrobazie; apparivano velocemente di fronte alle macchine che aspettavano il semaforo, intrattenevano gli automobilisti per un po' e si avvicinavano ai finestrini delle auto per ottenere i soldini. Durante il giorno poteva essere un mal minore, però si vedevano le silhouette dei bambini anche alla notte fonda seduti sul marciapiede aspettando i genitori che finissero di raccogliere le cartacce riciclabili. La loro giornata lunga si concludeva a notte fonda spingendo il rimorchio pesante.
Dopo aver sistemato la logistica del trasloco senza fretta andai a trovare una mia amica spagnola. Dora viveva in Argentina già da qualche anno. Le raccontai dello strano sogno che feci prima di arrivare in Argentina. Mi consigliò di visitare le cascate d'Iguazu nella provincia di Misiones, le quali fanno da confine tra altri due paesi: il Brasile ed il Paraguay. In quel momento mi ricordai di una fotografia che avevo ricevuto quando ero piccola da una amica brasiliana. Era una foto delle cascate di cui Dora mi stava parlando. Il Sud America è veramente lontano dal Giappone e non sapevo molto su questo continente però mi dava l'impressione che la sua terra così estesa mi avrebbe dato l'opportunità di allargare i miei orizzonti. Forse in cinquanta o cento anni, o forse ancora di più, chi lo sa, questa terra potrebbe riuscire ad avvolgere e digerire la realtà del mondo come ora lo vediamo. Avevo una piccola speranza.
La vera estate inizia nel mese di febbraio a Buenos Aires. L'indice dell'umidità è molto alta e la temperatura qualche volta potrebbe arrivare fino quasi quaranta gradi. La forza dei raggi del sole che penetravano dall'ozonosfera mi evocava lo splendore del Mediterraneo che si sentiva nel libro di Camus, "L'étranger". Mi sembrava che il sole rovente del Sud America avrebbe potuto correggere e rimettere a posto qualsiasi problema oppure cancellare tutto completamente. Pareva che le persone stessero vivendo in quell'abbagliamento senza poter aprire bene gli occhi. Non si rendevano conto neanche che le silhouette formate dal sole fossero così vaghe. Chissà se anche Soledad avesse messo i piedi in questo mondo di L'étranger? Avrei potuto chiamarlo un fine disastroso incitato da una specie di stato di saturazione. Ormai da tanto tempo avevo messo nel dimenticatoio una parola come "superare" e persi anche la forza di volontà per cercare le cose che non fossero a portata di mano. Il mio cuore manteneva la calma però la sensazione d'incompatibilità con la realtà esisteva e cercava di rimanere per sempre in fondo al cuore come se fosse l'ultimo bagliore dopo il tramonto. Non era una sensazione nichilista che conduceva a una depressione, né un conflitto distinto. Era come se stessi fondendo il mio spirito nel dolce alcol in una coppa di argento nel mezzo della siesta apatica, guardando i petali di rosa che flottavano là dentro. Un giorno quella coppa si sarebbe svuotata da un étranger. Pensai che sarebbe stato opportuno aspettare che il tempo passasse filtrando piano piano la luce del sole per incontrare qualcosa di più preciso e corretto.