All'inizio di settembre cominciava a sentirsi già l'aria primaverile. Ovunque fossi in quel periodo sentivo lievemente il profumo dei germogli. Benché intenso l'aroma della vegetazione fresca di Buenos Aires, questo non riusciva a risvegliare i ricordi del passato. Il mio cuore era calmo come un lago in un bosco silenzioso. Una mattina ricevetti una chiamata da Nora, un'amica argentina che mi invitava ad un concerto jazz al Centro Culturale di Recoleta. Ci demmo un appuntamento all'ingresso della sala concerto. Quando arrivammo non c'era ancora nessuno e ci potemmo sedere dove più ci piaceva. Si vedevano sul palcoscenico solamente qualche musicista che stava provando. All'improvviso un chitarrista che stava provando venne a sedersi accanto a me.
"E' un gruppo argentino?", gli chiesi.
"No, è un gruppo italiano, di Sardegna. Ci esibiremo in qualcosa di particolare : contaminazione tra la musica folk ed il jazz."
Cominciò ad arrivare la gente e si riempì la sala. Il chitarrista scese dalle scale latelali per andare a prepararsi. Partecipò come artista invitato argentino nella seconda parte. Il suono della sua chitarra era puro e brillava come se fossero stelle che cadono una per una dal cielo notturno. Senza rendermi conto stavo seguendo solo il suono della chitarra. Il musicista era tutt’uno con lo strumento. In quel momento qualcosa cominciò a muoversi dentro di me facendo come un rumore pesante e sordo simile a quello della locomotiva e mi fece ricordare la notte del dicembre del 2001 in cui nevicò a Recanati. Mi sembrava che il treno che vidi nel cielo stellato fosse ritornato da me. Non avevo la minima idea di dove mi avrebbe portato però non potevo perderlo. Pensai che non sarebbe arrivata più una seconda volta. Camminando per la Piazza di Recoleta con Nora, mi ricordai dei vari episodi successi in Italia dei quali ormai quasi mi ero dimenticata. Una nuova musica fece da intermediario per farmi ritornare alla memoria i bei ricordi che erano rimasti lontani da chissà quando.
Mentre ascoltavo il suono della chitarra si ricostruì la stessa scena di quando ascoltai il sonetto di Petrarca di Liszt. Non riuscivo a capire perché dovessero apparire ripetutamente quell’immagine della luna e donna del deserto come se mi stessero rimproverando per qualcosa. Chissà se era un messaggio importante che qualcuno avrebbe voluto trasmettermi? Si realizzò un'altra volta un'accordatura dentro di me e nello stesso tempo mi ricordai della pietra di rodocrosite che avevo sognato. La pietra si estrae nella provincia di Catamarca, a nord-ovest dell’ Argentina, dove il paesaggio assomiglia notevolemente a quello del deserto dove apparivano sempre la luna e la donna. Chissà se Soledad che era nascosta da qualche parte, iniziò a muoversi di nuovo attraverso il contatto con un nuovo suono.
L'anno 2004 fu il settecentesimo anniversario della nascita di Petrarca. In verità conoscevo il sonetto di Petrarca n.104 solo attraverso la musica di Liszt e non avevo mai cercato di analizzare la poesia originale. Andai alla biblioteca dell'Istituto Italiano della Cultura e presi il libro di Petrarca in prestito. La poesia era piena di sofferenza per un amore impossibile. Il suo spirito perse il luogo dove vivere. Liszt lo raccolse e lo lanciò più in alto e lontano possibile nel cielo notturno. Chissà se il poeta avesse nascosto il vero significato del suo sentimento dietro ogni parola di disperazione di modo che il suo fuoco della passione non si spegnesse mai. Sicuramente Liszt lo percepì e lo trasformò in un'opera splendida. Mi ricordai dell’immagine che mi apparve in mente il giorno di Tanabata mentre ascoltavo il sonetto di Petrarca; una donna avvolta in una tunica bianca che stendeva la mano ad un angelo grande che scendeva dal cielo per salvarla. L’immagine non era più quella di prima. La donna in sofferenza del deserto non esisteva più. Il contesto era esattamente uguale però qualcosa era cambiato.
Pace non trovo e non ò da far guerra,
e temo e spero; ed ardo e son un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto ‘l mondo abbraccio.
Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
e non m’ancide Amore e non mi sferra,
né mi vuol vivo né mi trae d’impaccio.
Veggio senza occhi e non ò lingua e grido;
e bramo di perir e cheggio aita;
ed ò in odio me stesso ed amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte e vita:
in questo stato son, Donna, per voi.
Sonetto di Petrarca 134 “Canzoniere di Francesco Petrarca”