20 novembre 2010

La Porta dell’Eternità - I


    ll 13 di dicembre 2001, nevicava senza interruzione dalla mattina e non dava segno di voler smettere. Accompagnai con la macchina mio figlio alla scuola materna come al solito, poi mi fermai al bar. Appena entrata, trovai un’amica il cui figlio frequentava la stessa scuola e che stava facendo colazione da sola. Facemmo quattro chiacchiere mentre prendevamo un caffé; dopo uscimmo dal bar e cominciammo a caminare sotto la neve. Lei che è sempre sorridente, di buon umore, scherzosa ogni tanto, quella mattina mi diede l’impressione che avesse  qualcosa che la stava tormentando. Disse che poco prima il fidanzato di sua cognata era morto in un incidente stradale.
    “Devi fare in questo momento ciò che vorresti fare! Perchè nella vita non si sa mai cosa succederà l’indomani.”                                                                            
    Queste sue parole attirarono la mia attenzione; sentii chiaramente che qualcuno mi voleva dire qualcosa attraverso le sue labbra.
    Ritornai a casa, mi misi vicino alla finestra per vedere come si stava sciogliendo la neve nel mare senza pausa e pensavo alla lezione di pianoforte del pomeriggio. Il paesaggio attorno a me, aveva perso il suo contorno, il color bianco della neve cominciò a coprire tutto completamente. In queste condizioni climatiche non sarei potuto andare a Recanati. Sentii il campanello della porta. Dietro il cancello bianco, sotto la neve, c’era inaspettatamente Diletta. Avevo sentito parlare del suo divorzio; erano mesi che non ci vedevamo. Preparando un caffè, le chiesi della sua situazione attuale. Sebbene avesse dovuto affrontare tanti problemi, aveva un aspetto brillante, piena di vitalità, senza nessun risentimento per il suo divorzio. Aveva preso questa decisione, disse lei, per poter vivere onestamente con se stessa, non aveva nessun dubbio in proposito. Cominciai a credere che quella mattina, anche lei fosse venuta per trasmettermi qualcosa in più.
    Nell'autunno del 2000, dietro suggerimento di Diletta, ripresi le lezioni di pianoforte. Avevo iniziato a suoarlo a tre anni, ma nonostante mi piacesse molto, abbandonai lo studio a dodici anni. Da piccola passavo la maggior parte del tempo da sola; nei pomeriggi, passavo il tempo suonando il pianoforte o ascoltando i dischi di mio padre. Fu a Sirolo che presi la decisione di ricominciare a suonare.
    In quel periodo vivevo con la mia famiglia a Sirolo, un piccolo paesino sull’Adriatico. In estate lo visitano tantissimi turisti di tutte le parti dell’Europa. Quando finisce la stagione balneare la popolazione si riduce a un decimo. L’inverno è estremamente triste. Vivevamo in una villa situata sul fianco del Monte Conero dalla quale godevamo di una vista meravigliosa. I numerosi pini, noccioli e roseti piantati frondosamente nel giardino di cinquecento metri quadrati nascondevano da fuori la villa che era costruita con le pietre bianche caratteristiche della zona. La sua facciata era completamente coperta dall’edera. Con il passare delle ore, piano piano il colore della casa cambiava. Mi sembrava che fosse parte della natura, fusa nel paesaggio intorno. Da tutte le finestre della casa si vedeva il mare. Era come se fosse un quadro paesaggistico mutevole a seconda del momento.
    Al crepuscolo, proprio di fianco della chiesa di San Nicola di Bari, si affacciava una luna azzuro chiaro e nello stesso tempo se ne rifletteva un’altra sul mare nero; le due dominavano la silenziosa notte. Non c’era nessun modo per definire la linea separatrice tra il cielo e il mare, però mano a mano che spuntava l’alba tutto cominciava ad illuminarsi e farsi chiaro. Quando arrivava quel momento, mi rendevo conto che questo pianeta sta fluttuando nell’universo. Esponendomi in questa aria sul mare e la terra, sentivo di essermi affidata nelle mani di qualcosa d’immenso.
    Durante le lunghe vacanze estive, la lezione di pianoforte fu sospesa. In questo periodo di riposo, una compagna dell’università venne a trascorrere tre settimane a Sirolo. Aveva già viaggiato in Italia tante volte però per lei fu la prima visita nelle Marche. Non avrebbe avuto la possibilità di venire in un paesino così piccolo come Sirolo a meno che lì non avesse avuto qualche conoscente. Volevo sapere se questo paesino le fosse piaciuto. Quando ci ricordammo dei tempi della scuola parlando della musica che ascoltavamo sempre, sentii ritornare un attimo accanto a me il mio passato, benché stessi vivendo lontano da questi ricordi. Forse guardavo troppo al passato. Mi sentivo completamente persa quando pensavo allo spazio e al tempo. Il tempo non passa due volte e lo spazio del passato non c’è più. La mia amica partì. Da quel momento la realtà nella quale vivevo diventava lentamente vuota. Guardando vagamente il mare grigio ed il cielo minaccioso di pioggia, stavo lì; senza poter trovare il significato, sentire nessun’emozione per ciò che mi circondava. Mi ricordo unicamente con chiarezza che avevo una forte sensazione di vuoto. Fu come risvegliarsi da un’anestesia. Non potevo distinguere bene la sottile linea che separava la realtà dal mondo tenebroso dove mi trovavo. Qualche volta ritornavo indietro in queste tenebre e lì rimanevo finché non mi risvegliavo. Mi trovavo in un mondo indescrivibile. 
    “Perché non mi sentivo bene? Chissà se tutto questo era successo per suscitare qualcosa dentro di me. “Perché sono venuta a Sirolo?”
    Queste parole inconsciamente mi sfuggirono dalla bocca. Il motivo per cui mi trovavo in questo posto non era solamente pratico: ci doveva essere qualche altra ragione. Chissà se la mia voce era arrivata ad ogni angolo di questo piccolo paesino? Anche quella notte la luna si alzava silenziosamente sullo scenario della chiesa di San Nicola di Bari.