La Porta dell'Eternità
Angelo del 13
I Sogni
Il Sole del Sud America
Iguasù e la Croce
Territorio Sacro
Arrivò il momento di incontrarmi faccia a faccia con Soledad e parlare seriamente con lei. Era l’alba del giorno di Tanabata, chiusi gli occhi in silenzio e aspettai che venisse Soledad a visitarmi. Subito dopo, nel buio, cominciarono ad apparire degli affreschi sul soffitto di una chiesa. Il mio corpo fluttuava nell’aria. Con un pennello in mano, spostandomi di qua e là, ci dipingevo minuziosamente gli avvenimenti della mia vita. In quel momento sentii accostarsi qualcuno al mio fianco. Sicuramente era Soledad. Le circostanze in cui ci trovavamo erano tali e quali a quelle del dipinto del Palazzo Moreno. Sarei accompagnata da lei finché non finisca la pittura da sola. In quel momento mi resi conto che non avevo più il pennello in mano. Mi domandavo se l'avessi perso. Immediatamente mi girai verso Soledad.
Improvvisamente apparvero diversi cacciabombardieri in formazione e uno sganciò una bomba su di me. Nel momento in cui pensai di stare per morire, la bomba si trasformò in una grande sfera di luce e mi avvolse completamente. In un istante o in un’ eternità, qualcosa d’ignoto addentrò nel mio corpo e il suo peso cominciò a trascinarmi giù piano piano. Non so quanto tempo trascorse però quando sentii che tutto era immobile e in equilibrio provai ad aprire gli occhi. Allora mi trovai in un serbatoio d’acqua profondo e in penombra.
Non vedevo traccia della sua presenza. Levando gli occhi in su si vedeva una sfera celeste e in basso nel fondo, la mia ombra. Quando mi muovevo, l’ombra pure si muoveva allo stesso modo. Per un momento la guardavo fluttuando nell’acqua, però era strano: l’ombra si allargava lentamente. Mi resi conto che si stava avvicinando verso di me e cominciò a prendere colore. Mano mano che si dilatava, apparivano innumerabili colori caleidoscopici che si diffondevano in tutta la sfera trasformandosi in tutti i disegni irregolari. Provai un attimo a muovere la mano come se avessi un pennello. I disegni si trasformarono secondo il movimento che io descrivevo.
Ritornai in quella bellissima città sull’Adriatico. Mi sembrava fosse stato ieri quel giorno della grande nevicata. Tutto era uguale a prima: Monte Conero, la chiesa di San Nicola di Bari, nulla era cambiato, forse nemmeno io. Contemplando la vastità del cielo e del mare, ascoltai “Il clavicembalo ben temperato” di Bach che il maestro aveva registrato a Parigi. Quel tono neutrale liberò completamente la mia mente portandomi al di là dell’orizzonte. I suoni che le tastiere emettevano si convertirono, uno a uno, in piccoli corpi luminosi e cominciarono a fluttuare nell’aria. Svolazzarono tutt’intorno come se fossero vivi: si raggruppavano e si disperdevano continuamente. Ripetuto varie volte il processo cambiando di forma, penetrarono dentro di me e cominciarono a illuminare tutti gli angoli del mio io interiore.
Incontrai finalmente quell’immagine. Commossa e rimasi lì in piedi senza parole. Mentre salivo alla hall del concerto sentivo ancora una sensazione strana come se stessi sognando; l’esecuzione della Big Band, dopo tutto quell’avvenimento, mi sembrava un attimo. Quella notte il mio amico e sua moglie con tutta la famiglia vennero ad ascoltare il concerto. La famiglia occupava un tavolo rotondo, al mio lato c’erano i produttori; solo quella notte aveva partecipato il sassofonista che aveva suonato alla festa di compleanno allo yacht club. Non sembrava minimamente che ci fosse una relazione tra di loro alla festa però si riunirono di nuovo al Palazzo Moreno per qualche motivo, oppure per combinazione, per ricostruire la stessa circostanza.
A dire la verità avevo già visto una pittura simile a quell’immagine nella chiesa di San Nicola di Bari a Sirolo; era l'immagine di Santa Lucia che inseguiva la luce. Però non volevo ammettere che fosse quello il quadro che stavo cercando. Mi misi seduta davanti a quella pittura e cominciai a riflettere su Soledad. Era il 13 di dicembre 2001 quando vivevo ancora a Sirolo, Soledad apparve dentro di me. Da quel giorno la mia vita cominciò a cambiare. Numerosi incontri casuali, avvenimenti strani e sogni premonitori; tutto ciò mi sembrava di essere stato progettato ingegnosamente da qualcuno per farmi capire qualcosa d’importante. Mi ero convinta che seguendo la musica come il filo conduttore sarei riuscita ad ottenere la risposta. Chissà se era stata Soledad a farmelo credere per poi tramare e scrivere una sceneggiatura sotto il chiaro di luna allo yacht club. Mi ricordai della strana sensazione che avevo provato durante la festa. Alla fine, eccomi al Palazzo Moreno come aveva previsto Soledad.
Un giorno un mio amico organizzò una festa di compleanno allo yacht club nella periferia di Buenos Aires. Dall’ingresso principale fino alla sala della festa c’era qualche chilometro e la strada era tutta buia in mezzo al bosco. Si poteva solo distinguere al chiaro di luna che c’erano delle barche a vela sul fiume. La sala era stata costruita sull’acqua; non flottava né rullava però avevo la sensazione di essere dentro la barca. Alla porta della sala il mio amico e sua moglie accoglievano gentilmente gli invitati. Durante la festa c'era anche un concerto di jazz. Il sassofonista era la stessa persona che aveva suonato la notte precedente a Notorious dove ero andata a sentire. Era una coincidenza abbastanza insolita. Condividevo la tavola con una coppia di appassionati di jazz e facevo una vivace conversazione con loro.
Cominciato il mese di giugno Buenos Aires assunse un aspetto invernale. Tutti gli alberi persero il verde e non c’era nessuno nei parchi. Il grande freddo, che durò comunque poco, arrivò nel mese di agosto. L’inverno di Buenos Aires era relativamente mite. Uno di quei giorni ricevetti un invito per il concerto di jazz della Big Band al Palazzo Moreno e facevano pubblicità con dei cartelloni che sono stati appesi dappertutto in città a tal punto che mi incuriosirono.
La prima volta che ascoltai la musica del gruppo “Argentos” fu in un club di jazz che si trovava nella zona di Palermo. Quando lessi un articolo su quel gruppo sul giornale mi venne la voglia di ascoltare la sua musica. Gli Argentos davano un concerto dal vivo nel club ogni mercoledì e decisi di frenquentarlo. Una notte colsi l’occasione per parlare con il leader del gruppo e gli dissi;
Senza che me ne accorgessi, l'unica cosa sulla quale mi riuscisse di affidarmi era la semplice immagine di foglia che spontaneamente si spingeva verso l'alto con tutte le forze. Quell'immagine così coraggiosa si potrebbe erigere come un simbolo di p
Particelle di grande potenzialità cadono con la frequenza di una per secolo in un’ estensione di terreno compresa tra uno e due chilometri quadrati. Si tratta quindi di una proporzione minuscola. Per le ricerche che richiedono un tempo così lungo si stanno realizzando rilievi in un terreno con estensione pari a tre mila chilometri quadrati in Malargüe. Ad ogni angolo di strutture triangolari con lato di un chilometro e mezzo è disposto un serbatoio di plastica. Ce ne sono mille seicento in totale. I raggi caduti lì dentro si trasformano in elettricità. I ricercatori stanno cercando di scoprire come e da dove provengano i raggi.
“L’autunno di Furry Creek è stato quasi sempre nuvoloso con abbondante pioggia. Quando scende la nebbia non si vede più il mare che si trova qui vicino. Nonostante tutto mi piace la natura di questo posto. Per l’anno prossimo sto organizzando un viaggio all’isola di Pitcairn che è conosciuto per la nave inglese Bounty. Ho sollecitato l’informazione all’ufficio amministrativo della Nuova Zelanda. Mi hanno detto che ci sono pochissimi servizi di comunicazione all’anno per arrivarci. Forse dovrei fermarmi qualche mese nell’isola. Comunque ho chiesto di inserirmi nella lista d’attesa.”
Tramite la segretaria dell’università trovai un alloggio in via Berlioz. La proprietaria era una signora e viveva da sola. Era una persona colta, dinamica e ricca d’esperienze della vita. Ogni tanto andava in montagna con degli amici. Mi chiedeva spesso se volessi uscire con lei a fare le gite in montagna o passeggiate per lungomare. Una notte di estate mentre passeggiavamo insiseme sulla spiaggia, le dissi;
Andavamo spesso a Saint Paul de Vence e Antibes per vedere esposizioni di quadri e uscivamo anche per ascoltare musica. Mentre lei passava le sue vacanze nella sua casa in Normandia rimanevo da sola, però uscivo ugualmente per fare passeggiate. Mi piaceva salire sulla collina di Cimiez e visitare il museo di Matisse. Dalle sue finestre si vedeva il mare. Tornando verso la città mi fermavo un attimo davanti al museo del messaggio biblico di Chagall. In quel tempo ascoltavo spesso la musica di Debussy che mi riportava alla mente il paesaggio della Costa Azzura. I suoi suoni sembravano gli ultimi tocchi delicati di un pittore alla sua tela. La luce e l’ombra, l’acqua ed il vento, fiori ed il frondoso verde; tutte le cose si fondevano sulla sua tela con armonia.
Il tempo di attesa mi sembrava una carica di energia che dopo potrebbe emettere un’ intensa luce. Si poteva percepire dei disequilibri dalla città di Buenos Aires che era costruita ad immagine europea sulla natura eccessivamente vasta. L’aria gratificante emessa dalla storia di Parigi non era un dettaglio di Buenos Aires. Però mi piaceva la città come si presentava. Sentivo di essere un po’ sconcertata dalla sua impressione di libertà. I codici per regolare i capricci umani cuciti nelle pieghe del tempo non si scioglierebbero mai. Però avevo una vaga sensazione che la terra argentina contenesse qualcosa di fondamentalmente differente. Le immagini necessarie non mi apparirebbero se non ci dedicassi più tempo. Credevo che il calore della terra argentina un giorno farebbe risuscitare le mie palpitazioni.
Il percorso era lungo e faticoso soppratutto perché faceva molto caldo e venivamo bagnati da schizzi d'acqua. Il giorno seguente visitammo la parte argentina. La mattina presto attraversammo una giungla con la jeep per scendere fino al bacino delle cascate. La foresta era tranquilla, si sentivano soltanto i cinguettii o il rumore degli animali. Però tutta quell'armonia si perdeva a causa dell'invasione della jeep. Rinunciai ad ascoltare i suoni della giungla e mi lasciai trasportare a destinazione. Quando arrivammo quasi al livello dell'acqua, scendemmo dalla jeep e camminammo un pezzetto fino ad una riva dove erano ancorati dei canotti. Da lì ci portarono in canotto vicino alle cascate. Infilammo tutte le cose in una busta di plastica; eravamo pronte ad essere bagnate completamente. Ci avvicinammo alla Garganta del Diablo. Il frastuono della cascata e la quantità di acqua che scendeva mi spaventavano. Una volta fatto il giro delle cascate, il canotto cominciò a dirigersi proprio sotto il flusso d'acqua. Ormai era impossibile proteggerci dall'acqua; eravamo totalmente inzuppati. Dissi alla mia amica:
Qualche settimana dopo l’eclisse andai a trovare Nora a casa sua. Uscimmo fuori sul balcone e guardammo la luna che emanava la luce fredda e chiara. Rifletteva su un lago che esisteva dentro di me che era apparentemente tranquillo e limpido. Sembrava fosse una goccia d’acqua che vi era caduta. Il lago cominciò a incresparsi e agitarsi. Il fango sedimentato iniziò a mischiarsi con l’acqua limpida e ad intorbidarsi rapidamente. Dentro quell’acqua cominciai a diventare cieca. L’acqua che depositava quel fango, non la necessitavo. Avrei solo bisogno di quella di un limpido corso che fluiva incessabilmente. Mi domandavo se un giorno sarei riuscita a discendere quella corrente senza chiedere aiuto.
Guardando la luna ascoltavamo il CD che mi aveva regalato Ranko per il mio compleanno : ”Lagrimas Negras” di Bebo Valdes & El Cigala. Dal balcone non si vedevano le vie intorno alla piazza. Erano nascoste completamente dagli alberi. Il paesaggio perfetto non esiste da nessuna parte. Per vivere in questa città confusionaria e mal curata dovevo creare dentro di me qualcosa di positivo. Provavo ripulsione per il fatto di ottenere la sicurezza al costo di imporre dei limiti. In piazza si vedevano dei ragazzi che raccoglievano qualcosa da mangiare nei rifiuti, mentre El Cigala cantava “Corazon Loco”.
Il festival si svolgeva in una fattoria alla periferia di Punta del Este, però era lontano da luoghi abitati. Era impossibile raggiungerlo senza macchina. Fummo costrette a prenotare un albergo vicino e andarci con taxi. Ranko aveva deciso di viaggiare via terra invece io con l’aereo. Partii dall’aeroporto Jorge Newbery di Buenos Aires e in quaranta minuti arrivai a Punta del Este. Osservavo dall’alto il suolo vergine verde, le onde alte dell’Oceano Atlantico e il colore del mare completamente diverso da quello del Mediterraneo. L’albergo che avevamo scelto era situato alla riva del lago Sauce ed era circondato da un bosco. Aspettavo Ranko che doveva arrivare più tardi. Nel tardo pomeriggio venne a prenderci un taxi per accompagnarci alla fattoria dove si svolgeva il festival. In una pianura estesa pascolavano liberamente gli animali. Non avevo mai pensato che avrei potuto ascoltare jazz con le mucche sotto il cielo stellato. Alle otto di sera aprirono il recinto e ci fecero entrare come se fossimo pecore. Lo spettacolo iniziò con una vocalista italiana e poi suonò il quintetto di Lewis Nash. L’energia di Nash avrebbe potuto fare spuntare erba dalle crepe dell'asfalto. Il primo giorno di festival finì con Bebo Valdés, Paquito D’Rivera e Andy Narell. La musica accompagnata dallo steelpan mi faceva ricordare il mare trasparente dei Caraibi e i forti raggi del sole.