14 dicembre 2010

Iguasù e la Croce - V


  La prima volta che ascoltai la musica del gruppo “Argentos” fu in un club di jazz che si trovava nella zona di Palermo. Quando lessi un articolo su quel gruppo sul giornale mi venne la voglia di ascoltare la sua musica. Gli Argentos davano un concerto dal vivo nel club ogni mercoledì e decisi di frenquentarlo. Una notte colsi l’occasione per parlare con il leader del gruppo e gli dissi;
    “Finora ho ascoltato vari gruppi però sento negli Argentos qualcosa di diverso dagli altri.”       
    Allora cominciò a raccontarmi delle sue nuove creazioni che erano basate sulla musica di Bach.  La sua visione della musica era molto interessante ed io gli facevo delle domande a proposito. Alla fine mi convinse che la sua arte aveva subito un parto vero con una certa sofferenza. Tempo fa fece un sogno strano. In un museo scuro e senza nessuno erano messe ben allineate migliaia di placche d’oro con iscrizioni di decaloghi. Sotto quelle placche si nascondevano innumerabili serpenti. Mi sembrava come se un impeccabile ordine fosse atterito da una forza misteriosa. La musica degli Argentos conteneva degli elementi mistici e riuscivano a scuotere facilmente un punto di tangenza tra ragione e passione. Sentivo attraverso la loro musica il calore della terra argentina che esaltava direttamente la vita. Erano semplicemente le manifestazioni della loro forma di essere. La musica degli Argentos era come un turbine alla massima potenza del ritmo latino. Creava una raffica di vento sulla terra arida che quando si trasformava in una tromba d’aria portava via tutto buttando ogni cosa giù per terra. Mi piaceva il dinamismo del gruppo. Mi dava la forza di combattere la mia debolezza interiore.
    Tutti gli artisti che avevo conosciuto finora cercavano di realizzare qualcosa fuori dalla portata umana  e non si lasciavano distrarre da niente. L'incontro con opere d'arte nate da una pura sensibilità mi aiutava ad aggiustare la distorsione dentro di me. Il più grande errore che abbia mai commesso era stato di essermi lasciata ingannare. Il quadro dipinto con colori falsi si meriterebbe la vera luce? Guardandomi nello specchio il mio volto sfocato mi domandavo se fossi stata in grado di aprirmi nuovi orizzonti nella vita.
    Senza che me ne accorgessi, l'unica cosa sulla quale mi riuscisse di affidarmi era la semplice immagine di foglia che spontaneamente si spingeva verso l'alto con tutte le forze. Quell'immagine così coraggiosa si potrebbe erigere come un simbolo di p
erfetta armonia. È come se gli alberi conoscano la dimensione del loro proprio destino: non crescerebbero né più né meno di quanto già definito. Una foglia che nasca da quell'albero è piena di volontà. Una tale forza vitale di una tale impeccabile volontà certamente verrebbe a creare un mondo meraviglioso, persino nell'atto della sua distruzione. Tutto immutabilmente è ancora qui presente. Persino dopo migliaia di anni. Sentivo che tutto sarebbe andato per il meglio se fossi stata a conoscenza di questo fatto.

    Poco dopo il mio rientro a Buenos Aires, andai con gli amici in un ristorante indiano. Ci incontravamo una volta al mese in qualche ristorante etnico. Indossavo la croce con la pietra di rodocrosite. Quella sera Roberto, un mio amico fisico, era appena tornato dall’osservatorio di raggi cosmici Pierre Auger di Malargüe. Ci raccontò come era andato il suo viaggio. Aveva volato da Buenos Aires fino a Mendoza e da lì aveva viaggiato in autobus per altre sei ore fino all’osservatorio. Partecipavano alle ricerche trecento sessanta scienziati da sedici diversi paesi. Mi incuriosiva molto ciò che raccontava Roberto:
    “Migliaia di raggi cosmici di bassa intensità cadono dappertutto. Anche ora, il nostro corpo li sta subendo!”
    Particelle di grande potenzialità cadono con la frequenza di una per secolo in un’ estensione di terreno compresa tra uno e due chilometri quadrati. Si tratta quindi di una proporzione minuscola. Per le ricerche che richiedono un tempo così lungo si stanno realizzando rilievi in un terreno con estensione pari a tre mila chilometri quadrati in Malargüe. Ad ogni angolo di strutture triangolari con lato di un chilometro e mezzo è disposto un serbatoio di plastica. Ce ne sono mille seicento in totale. I raggi caduti lì dentro si trasformano in elettricità. I ricercatori stanno cercando di scoprire come e da dove provengano i raggi.
    Roberto mi parlò anche del cielo stellato che aveva visto all’osservatorio. Per la grande quantità di stelle il cielo era chiaro come se fosse giorno e la bellezza di quella notte era indimenticabile. Mi venne voglia di vedere quelle innumerevoli stelle di cui mi parlava Roberto.
    Mentre ascoltavo i commenti di un compagno sulla cucina indiana toccavo con le dita la pietra di rodocrosite incastonata nella mia croce. All’improvviso la pietra si tolse e cadde. Non potevo crederci però qualche giorno prima avevo sognato quell’immagine e pensai se fosse stato un mio errore aver incastonato la pietra alla croce. Mi sembrava che la rodocrosite fosse apparsa nel mio sogno per dirmi al posto di Soledad:
    “Voglio camminare da sola!”
    Se fosse così, avrei condotto Soledad verso una sofferenza maggiore mettendola in croce con la mia stessa mano? Avrei potuto vivere ancora ignorando una parte della mia propria realità? La pietra che era rimasta crocifissa cercò di fuggire nel mio sogno poi alla fine decise di farlo realmente di fronte a Roberto. Secondo la sua analisi probabilmente la pietra era scappata per ritornare da Angela che era la sua padrona originale. Anche gli altri amici erano della stessa opinione. Allora pensai di restituirla ad Angela e lasciai perdere l’idea di ripararla. Non avrei dovuto avere problema a scegliere una nuova pietra da incastonare nella croce. Invece  non volevo assolutamente separarmi da quella pietra e la volevo tenere a portata di mano anche se sotto la forma di crocifisso. Portai la pietra e la croce alla gioielleria per farle aggiustare. Così la rodocrosite non sarebbe più riuscita a tornare da Angela.
    Una notte organizzammo una festa d’addio per il ritiro dal lavoro di Roberto alla quale partecipò anche il direttore dell’osservatorio Pierre Auger. Roberto, il direttore ed io, uscimmo nel giardino per prendere una bibita e osservammo il cielo stellato. Roberto iniziò:
    “Un giorno dovresti andare a Malagüe. Ti aiuterà lui come guida.”
    “I raggi cosmici che cadono sulla terra dallo spazio risvegliano la nostra immaginazione e curiosità. L’unica cosa che ci intesessa a sapere è la relazione tra il movimento e l’esistenza”, disse il direttore.
    Dopo qualche mese ricevetti un mail da Roberto che si era trasferrito e stabilito a Furry Creek in Vancouver.
    “L’autunno di Furry Creek è stato quasi sempre nuvoloso con abbondante pioggia. Quando scende la nebbia non si vede più il mare che si trova qui vicino. Nonostante tutto mi piace la natura di questo posto. Per l’anno prossimo sto organizzando un viaggio all’isola di Pitcairn che è conosciuto per la nave inglese Bounty. Ho sollecitato l’informazione all’ufficio amministrativo della Nuova Zelanda. Mi hanno detto che ci sono pochissimi servizi di comunicazione all’anno per arrivarci. Forse dovrei fermarmi qualche mese nell’isola. Comunque ho chiesto di inserirmi nella lista d’attesa.”
    Dove si trova in realità l’isola di Pitcairn? Aprii una mappa e cercai l’isola.