18 dicembre 2010

Territorio Sacro - III

    Fino ad allora eravamo andate sempre d’accordo. Quando lei voleva prendere una decisione per me glielo permettevo. Non nego che in qualche momento provai a convincermi a credere che quell'angelo del quadro fosse Soledad che mi conduceva verso la luce. D’altra parte sentivo dentro di me una voce che ripeteva di no. Non ammetevo di basare tutta la ragione della mia esistenza su una visione incompleta e scipita. Considerare Soledad come una guida spirituale sicuramente mi avrebbe lasciato sentire più libera e rassicurata, però mi veniva con insistenza in mente il dubbio se sarei rimasta per sempre una schiava. Leggevo attentamente la sceneggiatura che aveva scritto Soledad. Se non fossi riuscita a comprenderlo adesso, si sarebbe allontanata da me e non sarebbe ritornata più. Non volevo lasciarla andare.
    Arrivò il momento di incontrarmi faccia a faccia con Soledad e parlare seriamente con lei. Era l’alba del giorno di Tanabata, chiusi gli occhi in silenzio e aspettai che venisse Soledad a visitarmi. Subito dopo, nel buio, cominciarono ad apparire degli affreschi sul soffitto di una chiesa. Il mio corpo fluttuava nell’aria. Con un pennello in mano, spostandomi di qua e là, ci dipingevo minuziosamente gli avvenimenti della mia vita. In quel momento sentii accostarsi qualcuno al mio fianco. Sicuramente era Soledad. Le circostanze in cui ci trovavamo erano tali e quali a quelle del dipinto del Palazzo Moreno. Sarei accompagnata da lei finché non finisca la pittura da sola. In quel momento mi resi conto che non avevo più il pennello in mano. Mi domandavo se l'avessi perso. Immediatamente mi girai verso Soledad.
    “Devi stare tranquilla. Te l'avevo già detto prima. Non c’è niente di cui preoccuparti.”
    Improvvisamente apparvero diversi cacciabombardieri in formazione e uno sganciò una bomba su di me. Nel momento in cui pensai di stare per morire, la bomba si trasformò in una grande sfera di luce e mi avvolse completamente. In un istante o in un’ eternità, qualcosa d’ignoto addentrò nel mio corpo e il suo peso cominciò a trascinarmi giù piano piano. Non so quanto tempo trascorse però quando sentii che tutto era immobile e in equilibrio provai ad aprire gli occhi. Allora mi trovai in un serbatoio d’acqua profondo e in penombra.
    "Dove è Soledad?"
    Non vedevo traccia della sua presenza. Levando gli occhi in su si vedeva una sfera celeste e in basso nel fondo, la mia ombra. Quando mi muovevo, l’ombra pure si muoveva allo stesso modo. Per un momento la guardavo fluttuando nell’acqua, però era strano: l’ombra si allargava lentamente.  Mi resi conto che si stava avvicinando verso di me e cominciò a prendere colore. Mano mano che si dilatava, apparivano innumerabili colori caleidoscopici che si diffondevano in tutta la sfera trasformandosi in tutti i disegni irregolari. Provai un attimo a muovere la mano come se avessi un pennello. I disegni si trasformarono secondo il movimento che io descrivevo.
    Quando mi risvegliai mi trovai a terra bagnata fradicia. Non capii che mi fosse successo per un po’ di tempo. Chiusi gli occhi e mi ricordai della sfera, della sua inesprimibile brillantezza dei colori. Sarà quella sfera ciò che Soledad mi avrebbe voluto far vedere? La mia vita che avrei dipinto con lei fluttuando nell’aria in chiesa si sarebbe evoluta fino a quel punto?

    Come tutte le estati decidemmo di passare le vacanze a Sirolo. Prima di partire andai in gioielleria per vedere se la croce con la rodocrosite fosse già stata riparata.
    “Mi dispiace, non riusciremo a ripararla prima che tu parta. Abbiamo cercato di incollare la pietra alla croce con un prodotto speciale, però si staccava sempre. Allora stiamo cercando qualche altra maniera per fissarla.”
    La signora della gioielleria continuò:
    “Guardando quella croce, mi è venuta voglia di andare a vedere l’immagine di Maria che era apparsa a Salta. Vorrei allontanarmi un po’ da Buenos Aires.”
    Decisi di lasciarle la croce.
    Ritornai in quella bellissima città sull’Adriatico. Mi sembrava fosse stato ieri quel giorno della grande nevicata. Tutto era uguale a prima: Monte Conero, la chiesa di San Nicola di Bari, nulla era cambiato, forse nemmeno io. Contemplando la vastità del cielo e del mare, ascoltai “Il clavicembalo ben temperato” di Bach che il maestro aveva registrato a Parigi. Quel tono neutrale liberò completamente la mia mente portandomi al di là dell’orizzonte. I suoni che le tastiere emettevano si convertirono, uno a uno, in piccoli corpi luminosi e cominciarono a fluttuare nell’aria. Svolazzarono tutt’intorno come se fossero vivi: si raggruppavano e si disperdevano continuamente. Ripetuto varie volte il processo cambiando di forma, penetrarono dentro di me e cominciarono a illuminare tutti gli angoli del mio io interiore.
    Il colore del cielo tinto dal sole del crepuscolo si sciolse nel mare come colori ad acqua. La linea dell’orizzonte scomparve e cominciarono ad apparire qua e là le stelle di color acquamarina trasparente.