17 dicembre 2010

Territorio Sacro - I

   
    Un giorno un mio amico organizzò una festa di compleanno allo yacht club nella periferia di Buenos Aires. Dall’ingresso principale fino alla sala della festa c’era qualche chilometro e la strada era tutta buia in mezzo al bosco. Si poteva solo distinguere al chiaro di luna che c’erano delle barche a vela sul fiume. La sala era stata costruita sull’acqua; non flottava né rullava però avevo la sensazione di essere dentro la barca. Alla porta della sala il mio amico e sua moglie accoglievano gentilmente gli invitati. Durante la festa c'era anche un concerto di jazz. Il sassofonista era la stessa persona che aveva suonato la notte precedente a Notorious dove ero andata a sentire. Era una coincidenza abbastanza insolita. Condividevo la tavola con una coppia di appassionati di jazz e facevo una vivace conversazione con loro.
    Man mano che passava il tempo, cominciai ad avere una sensazione strana. Mi sembrava che la mia coscienza si stesse allontanando piano piano dal corpo, come quando la temperatura corporea si diffonde nell’aria. Non riuscivo più a controllarmi. Cercai di difendermi da quella strana sensazione e creare una barriera tra me e la realtà che mi circondava. Sentivo una stanchezza enorme. Il mio amico guardandomi preoccupato mi chiese:
    “Che cosa ti è successo? C'è qualcosa che non va?”
    Non volevo mostrare ciò che mi stava succedendo e cercai di comportarmi il più possibile in maniera naturale, così gli risposi:
    “Va tutto bene.”
    “Il tuo viso sta dicendo il contrario.”
    In quel momento non capivo ancora da cosa dipendesse tutto questo.

    Cominciato il mese di giugno Buenos Aires assunse un aspetto invernale. Tutti gli alberi persero il verde e non c’era nessuno nei parchi. Il grande freddo, che durò comunque poco, arrivò nel mese di agosto. L’inverno di Buenos Aires era relativamente mite. Uno di quei giorni ricevetti un invito per il concerto di jazz della Big Band al Palazzo Moreno e facevano pubblicità con dei cartelloni che sono stati appesi dappertutto in città a tal punto che mi incuriosirono.
    Il Palazzo Moreno si trovava nel quartiere di San Telmo, la zona vecchia della città. Davanti all’edificio era appeso una specie di telone per gli spettacoli. Entrai e comprai il biglietto; per starmene tranquilla da sola, scelsi un tavolo vicino alla parete. La decorazione interna dava l'impressione di un vecchio museo europeo piuttosto che di una sala da teatro; mostrai il ticket all’ingresso e andando verso il fondo del corridoio, notai che al lato destro, c’era un grande salone con una decorazione rococò.  Poi arrivai ad una sala da esposizione dove erano appesi diversi quadri sulla parete. Allo stesso tempo c’era una mostra nel palazzo. Prima dello spettacolo, mentre aspettavamo nel salone, ci offrirono un aperitivo durante l’esecuzione di musica leggera con pianoforte e basso. Presi una sedia e mi sedetti al bar. In quel momento qualcuno mi chiamò per nome. Girandomi trovai quella coppia di appassionati di jazz che avevo conosciuto alla festa di compleanno allo yacht club. Era tanto tempo che non ci vedevamo più. Salimmo insieme al secondo piano e mi invitarono a condividere il loro tavolo al centro della prima fila. Subito dopo ci servirono una bottiglia di champagne. La hall principale era molto ampia con il soffitto alto e c’erano vari tavoli rotondi. Potrebbero assistere più di quattrocento persone in quel salone.
    “Siamo noi i produttori della Big Band.” 
     Fu una sorpresa per me, non avrei mai pensato che fossero stati loro ad organizzare questi concerti. Lo show era accompagnato dalle chiacchiere divertenti del conduttore della banda. Il concerto durava un’ora e mezzo senza intervallo però l'attenzione era sempre alta fin dall’inizio. Infatti gli spettatori erano completamente immersi nella loro interpretazione e non si distraerono mai. Oltre quest’abile intrattenimento, si potevano ascoltare numerosi altri musicisti conosciuti a Buenos Aires: questo era uno dei motivi per il quale gli spettatori erano rimasti affascinati. Finito il concerto tutti, tranne i personali del locale, si ritirarono. La sala era quasi buia, c’era solo qualche candela accesa qua e là e regnava un silenzio di tomba. In quell’ ambiente cominciai a sentirmi come se una parte della mia testa fosse  sottoposta ad un’anestesia. Mentre parlavo con i produttori avevo la sensazione che tutte le mie parole uscissero dalla mia bocca passando da qualche parte dove non riuscivo a controllare la mia coscienza e la mia ragione, mi sfuggivano una dopo l’altra infrenabilmente. Avevo una vaga sensazione che fosse stata Soledad ad occupare la mia coscienza in quel momento.