09 dicembre 2010

Iguasù e la Croce - II


    Due settimane dopo il viaggio ricevetti una brutta notizia. Mio padre doveva farsi operare con urgenza: aveva avuto un'aneurisma. Otto anni fa si era sottoposto ad un’operazione per un bypass dopo di che aveva perso l'uso della parola. Mio padre cominciò a farsi capire in silenzio ma io durante quegli anni non cercai di comprenderlo. Ero egoista e vivevo solo dei miei ragionamenti puerili. Dissero che la probabilità di riuscita sarebbe stato del venti per cento. Mio padre decise di tentare anche se le probabilità di riuscita erano così basse. Volevo solo rivederlo quando era ancora vivo. Presi subito un biglietto e mi precipitai a casa. 
    Tornai alla casa paterna. Mi portarono nel posto dove mio padre aveva avuto un'emottisi. Lì era appeso un acquerello. Qualche giorno prima dell'accaduto di mio padre vidi, da qualche parte in Buenos Aires, un quadro  con lo stesso disegno. In quel momento non mi ero resa conto che avessimo lo stesso quadro a casa. Chissà se mio padre avesse voluto dirmi qualcosa nonostante la sua voce non riuscisse ad arrivare fino dove mi trovavo. Uscii da casa e camminai intorno alla casa ricordandomi dei giorni della mia infanzia.  Allora mi sembrò di sentire una voce di qualcuno mentre mi appoggiava una mano sulla spalla:
    "Puoi tornare quando vuoi.."
    Ebbi la certezza di aver sempre ricevuto un grande amore dalla mia terra natale, benché stessi a 20,000 chilometri di distanza. L'unica cosa che avrei dovuto fare era tenerlo nel mio cuore per trovare l'energia per andare avanti.
    Mio padre entrò in coma. Andavo a visitare ogni giorno la camera di cura intensiva in cui era ricoverato. Gli avevo appoggiato accanto al guanciale la croce di pietra rosa e gli sussurravo all'orecchio della mia vita negli ultimi anni. Per fortuna la sua situazione era stabile e pregavo per il suo pronto recupero. Il giorno del mio rientro in Argentina era vicino.
    Il volo di ritorno passava per Parigi. Quella volta per via delle condizioni di mio padre, il percorso mi sembrava molto più lungo del solito. Decisi di fermarmi tre giorni a metà strada, ma non avrei mai immaginato di poter incontrare il mio maestro di pianoforte che era lì per incidere della musica di Bach. Lo chiamai e ci demmo appuntamento davanti alla cattedrale di Notre Dame. Presi il metrò dal Parco di Tuillerie. A maggio a Parigi le giornate sono molto lunghe. Alle otto di sera il cielo era ancora chiaro e c'erano ancora tante persone di fronte alla cattedrale. Non riuscivo ancora a credere che a breve sarebbe arrivato il mio maestro. Era già da un anno e mezzo che non lo vedevo. Mentre l'aspettavo mi ricordavo delle lezioni di pianoforte a Recanati. Era lui che mi fece aprire realmente gli occhi alla bellezza della musica. Arrivò con un po' di ritardo. Attraversammo la Senna, entrammo nel primo vicolo sulla riva sinistra e camminammo verso la Cité. Ci fermammo sul ponte della Senna che rifletteva la luce del tramonto. 
    "Mi sembra che fossero state ieri le lezioni di pianoforte. Ti ricordi delle parole che abbiamo letto insieme sull'arco?", mi chiese il maestro. 
                                 
    "Come no! .... Vola irreperibile tempo... il tempo vola e non torna più. Penso che sono venuta in Italia per trovare il tempo che non riuscivo mai a trovare prima.”
    “Che cosa farai in Argentina?”
    "Non lo so ancora...”
    Al di là della cattedrale cominciarono ad apparire una per una le stelle. Ritornammo a quel vicolo per prendere le crepe e brindammo per il nostro incontro a Parigi. Dopo averlo salutato pensai all'apparizione casuale del maestro a metà camino dal Giappone a Buenos Aires. Mi sembrava che fosse venuto a incoraggiarmi, anche se in realtà non era così, per il fatto di mio padre. Il mio maestro mi aveva aiutato molto anche prima. Se lui fosse stato tanta acqua io sarei stata una foglia che fluttuava lì sopra. Però cominciai anche a sentirmi come se fossi una piccola foglia appena nata da un albero.